sabato 26 settembre 2009

La Razza Casertana

Il suino di razza casertana è descritto in diversi trattati di zootecnia del secolo scorso (Baldassare S. 1899 e Pitaro S., 1950) con cute, liscia, sottile, morbida e lucida nei soggetti giovani, rugosa, spessa, ruvida e senza riflesso negli adulti; di colore nero uniforme, senza macchie, con gradazioni diverse a seconda dell’età, lucente con riflessi violacei nei giovani, più chiaro quasi grigio plumbeo negli adulti; quasi del tutto privo di setole, se presenti sottili e delicate, e poiché causa di deprezzamento erano strappate (pelatura) dai proprietari prima della vendita al mercato; con la presenza di tettole (bargiglioni o in dialetto “scioccaglie” ossia orecchini), due appendici cutanee di forma cilindrica e prive di setole in corrispondenza della regione parotidea; con la testa a forma di tronco di cono, a base piccola, con profilo nasale diritto e lungo; con le orecchie vicine tra loro, non molto grandi, dirette obliquamente in avanti e in basso; con il collo, lungo e stretto nei magroni, tozzo e spesso negli adulti ingrassati; con il tronco lungo e stretto nella regione del costato e della groppa nei magroni, arrotondato nei soggetti grassi; con il dorso a profilo convesso, a volte rettilineo; con gli arti leggeri e sottili. Nell’ambito della razza si differenziano tre fenotipi, uno fine o piccolo (detto di Teano) dalla tipica forma rotondeggiante, uno grande o grossolano più esigente nell’alimentazione, ed uno intermedio, derivante dall’incrocio dei fenotipi precedenti; le femmine presentavano in genere 10 capezzoli, erano fecondate a 7-8 mesi, partorivano in media 6 piccoli, raramente 9 -10 dopo una gestazione in media di 110 giorni. Si usava macellare i suini tra i 12 e 18 mesi ad un peso vivo di 130-160 kg, sebbene non era raro trovare soggetti al di sopra di 2 anni di 260 kg o più. Le migliori scrofe erano sfruttate fino a 7-8 anni, mentre i verri, anche se morfologicamente belli, erano macellati intorno ai 3-4 anni. L’area di allevamento del suino casertano era molto estesa, comprendeva “i bacini inferiori del Garigliano e del Volturno, i quali trovansi lungo il litorale del Tirreno nei circondari di Gaeta e di Caserta; e si estende, nell’interno, sino al mandamento di Cajazzo nel circondario di Piedimonte d’Alife; ai mandamenti di Pignataro Maggiore, Teano e Pietramelara nel circondario di Caserta; nel circondario di Sora, sino ai mandamenti di Pontecorvo, Arpino, Atina e Sora al confine della provincia di Roma, ed a quello di Cervaro al confine del Molise”. Successivamente l’allevamento della pelatella casertana si è diffuso anche nelle province di Napoli, Benevento, Avellino, Salerno, Roma e Campobasso, ed in altri territori del Mezzogiorno d’Italia contribuendo alla selezione di altre razze suine nere.

Nel 2009 risultano iscritti al registro anagrafico gestito dall’ANAS (associazione nazionale allevatori suini) 25 allevamenti per un totale complessivo 371 scrofe e 29 verri iscritti.

(Fonte: Rivista Agricultura e Innovazione, n.1/09).

sabato 5 settembre 2009

La Pizza Napoletana STG

In un documento del Codex diplomaticus cajetanus riguardante il Ducato di Gaeta e risalente al 997, vi è la testimonianza più antica dell’uso del termine pizza. La pietanza, già all’epoca, doveva essere considerata importante in quanto veniva spesso utilizzata quale merce di scambio o per il pagamento dell’affitto di locali.

Non vi è dubbio però che già dal 1700 esistevano a Napoli diverse botteghe, che nell’uso popolare erano denominate “pizzerie”, così come è certo che il prodotto rimase fino a metà del '900 un'esclusiva solo della città. Le pizze più consumate a Napoli erano la marinara (1734) e la margherita (1796-1810), che la tradizione vuole realizzata dal cuoco Raffaele Esposito della pizzeria Brandi nel giugno 1889, per onorare la regina d'Italia Margherita di Savoia, in visita a Napoli e dove i condimenti, pomodoro, mozzarella e basilico, rappresentavano i colori della bandiera italiana.

Ma veniamo ai giorni nostri ed in particolare alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Europea (GUCE C40/17) della domanda di registrazione della denominazione “Pizza Napoletana STG”, ai sensi del Reg. CE n.509/06 relativo alla protezione delle specialità tradizionali garantite dei prodotti agroalimentari. Finalmente, dopo alcune difficoltà, a fine settembre 2009 si concluderà l’iter per il riconoscimento dell’ambito marchio comunitario STG, avviato nel 2004 dall’omonimo comitato promotore composto dall’Associazione Verace Pizza Napoletana e dall’Associazione Pizzaiuoli Napoletani.

Da quel momento in poi la Pizza Napoletana STG si distinguerà nettamente da altri prodotti simili per le sue caratteristiche peculiari e per gli ingredienti tradizionali come il pomodoro, la mozzarella di bufala DOP o mozzarella STG e l’olio extravergine d'oliva.

Al tal fine sono previste nel disciplinare di produzione tre tipologie: a) Marinara con aglio, olio, pomodoro ed origano (lo spicchio d'aglio va privato della pellicola e tagliato a sottili fettine); b) Margherita che richiede mozzarella STG, tagliata a listelli e pomodori pelati; c) Margherita extra con 80-100 grammi di mozzarella di bufala campana DOP tagliata a listelli e pomodori pelati o pomodorini freschi.