venerdì 5 giugno 2009

Razze autoctone impiegate come sentinelle dell'ambiente


Il biomonitoraggio delle popolazioni animali autoctone consiste nel controllare in modo sistematico e continuo gli effetti dell’inquinamento ambientale mediante la valutazione di modificazioni morfologiche, fisiologiche e soprattutto genetiche di un campione rappresentativo di animali di interesse zootecnico (animali in produzione) e veterinario (animali da compagnia). E’ importante chiarire che il biomonitoraggio non misura l’inquinamento dell’ambiente, ma stima l’alterazione rispetto alla norma di alcuni parametri di stabilità genica degli animali che vengono considerati come biomonitors.

Gli animali allevati a scopo zootecnico rappresentano un punto fondamentale della catena alimentare. Monitorare gli animali, significa monitorare l’ambiente dove essi vengono allevati ed alimentati; qualora l’ambiente fosse contaminato da qualsivoglia sostanza ad azione tossica e/o mutagena, gli animali assumerebbero tali contaminanti attraverso l’alimentazione e potrebbero attraverso i loro prodotti trasferirli all’uomo. Gli effetti mutageni di tali sostanze si manifestano in danni a livello cromosomico (DNA) aumentando l’instabilità genetica la quale si può tradurre in mutazioni genetiche che spesso sono il primo passo per l’insorgenza di neoplasie o difetti immuno-enzimatici: tanto più alta è tale instabilità, tanto più alto è il rischio di mutazioni.
Per valutare le conseguenze di una eventuale esposizione a sostanze genotossiche si ricorre all’uso di test citogenetici in grado di evidenziare alterazioni irreversibili del materiale genetico in termini di mutazioni geniche, cromosomiche o genomiche. I campioni biologici di elezione sono i linfociti di sangue periferico ed i test citogenetici sono i prescelti per analizzare probabili mutazioni geniche o strutturali o numeriche. Tra questi i più attendibili, maggiormente diffusi ed impiegati nel Laboratorio di Genetica Veterinaria e Biotecnologie applicate alle Produzioni Animali, attivo dal 2001 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, sono il test delle aberrazioni cromosomiche (AC), il test dello scambio tra cromatidi fratelli (SCE) ed il test dei siti fragili.
Come nella maggior parte degli studi epidemiologici sull’animale, anche negli studi di monitoraggio emerge un alto livello di variabilità interindividuale nella risposta a un insulto chimico o biologico; alcuni individui di controllo non esposti possono presentare alti livelli di danno cromosomico, mentre alcuni degli esposti possono avere frequenze spontanee inferiori ai controlli. Pertanto i dati non vengono trattati su base individuale, ma possono risultare informativi se inseriti in un contesto di gruppo (riuniti in gruppi disomogenei per specie, razza, età, modo di allevamento così che il campione monitorato sia quanto più variabile possibile e quindi rappresentativo della popolazione animale del territorio): quindi è solo mediante il valore medio, con l’ausilio di opportuni test statistici, che è possibile sostanziare un problema di esposizione.
Gli animali diventano delle vere e proprie centraline biologiche di rilevamento dell’inquinamento dell’ambiente (sentinelle dell’ambiente) e svolgono un ruolo importante per la sicurezza alimentare ed ambientale. (Fonte: Rivista Agricultura e Innovazione)

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